mercoledì 19 gennaio 2011

I nodi di Gioia Tauro

In questi giorni il porto calabrese di Gioia Tauro è tornato nella cronaca nazionale, con articoli apparsi anche sui quotidiani che normalmente non affrontano le questioni connesse al traffico globale di container. Il pretesto è stato il fermo di trenta ore del terminal Medcenter, avvenuto tra l'8 ed il 9 gennaio per "mancanza di navi", come recita un comunicato ufficiale. Ad aggravare il quadro, c'è la conferma di Contship sulla flessione della movimentazione a Gioia Tauro anche nel 2010, nonostante la ripresa globale dei traffici container. Insomma, ci sono gli elementi per parlare di una crisi dello scalo, per la prima volta dalla sua nascita dovuta all'intuizione di Angelo Ravano, che aveva visto prima di tutti lo sviluppo del transhipment mediterraneo. Ma dall'inizio degli anni Novanta è passata tanta acqua sotto le banchine del porto calabrese ed oggi emergono alcuni nodi che si sono intrecciati negli ultimi anni e che mettono in discussione perfino la stessa sopravvivenza dell'attività dello scalo. Secondo i propri interessi, ogni attore offre la sua spiegazione: concorrenza dei porti nordafricani, bassa produttività dei lavoratori, scarso interesse della politica nazionale, competizione sotterranea tra compagnie. Ogni spiegazione ha le sue ragioni e concorre a formare il quadro generale. Vediamole più da vicino.
Competizione internazionale. Il transhipment di container bene si adatta ai processi di delocalizzazione. In fondo, agli armatori basta dirottare le nevi da un porto all'altro, purché ci siano le necessarie attrezzature. Così, Gioia Tauro ha trovato concorrenti aggressivi, prima in Spagna (Algeciras in testa), poi sulle coste del Nord Africa, dove è sorto TangerMed, che è operativo solo a metà, ma sta già togliendo migliaia di teu a Italia e Spagna. Anche gli egiziani stanno diventando più aggressivi ed in lista d'attesa ci sono già l'Algeria, la Tunisia e perfino la Libia. Queste realtà giocano due assi: un costo del lavoro molto più basso di quello europeo e una posizione più favorevole per le portacontainer che escono da Suez e sono dirette verso Gibilterra per salire verso il Nord Europa (o tornano in Asia). Maersk, la compagnia leader nel mondo ha già scelto, e ha lasciato sia Gioia Tauro, sia Algeciras, a favore di TangerMed. La questione è se tale tendenza sia irreversibile. Il fatto che i principali terminalisti stiano investendo nei nuovi scali del Nord Africa (compresa la stessa Contship) non genera certo ottimismo.
Produttività. La polemica più recente è quella avviata dal patron di MSC, Gianluigi Aponte, sulla scarsa produttività dei portuali calabresi, posizione contestata dai sindacati. La questione rischia di prendere una prevedibile deriva ideologica: da un lato chi accusa le sigle sindacali di coprire l'assenteismo e dall'altro chi accusa gli imprenditori di nascondere in questo modo problemi di gestione e di commercializzazione. Vero è che l'organizzazione del lavoro nel porto calabrese è al centro di un lungo braccio di ferro tra Medcenter ed alcune sigle sindacali, che in passato hanno anche proclamato alcuni scioperi. È indispensabile che le parti facciano finalmente chiarezza sulla questione e, soprattutto, trovino un'intesa per assicurare il futuro del porto. Un primo passo è avvenuto durante gli incontri di questi giorni e spero che si proceda in modo costruttivo.
Ruolo della politica. Il destino del transhipment italiano non deve rimanere nelle mani delle imprese e dei sindacati o, al massimo, degli Enti locali interessati. Deve diventare una priorità nazionale ed il Governo deve assumersi la responsabilità di un piano strategico che coinvolge l'intera Penisola. Lo chiedono tutti: associazioni degli operatori, terminalisti e sindacati. Il Piano nazionale della Logistica accenna alla questione del transhipment, ma gli operatori chiedono azioni immediate, come la prosecuzione della riduzione delle tasse d'ancoraggio, che possano addirittura rientrare nel Milleproroghe (attraverso la sua conversione in legge). In tendenza, chiedono una legislazione specifica per il transhipment. Poi c'è la questione dei nuovi megaprogetti dell'Adriatico settentrionale (Venezia e Monfalcone): oltre ai numeri stratosferici che mostrano, ci vorrebbe maggiore chiarezza sulle loro strategie (saranno scali di trasbordo o d'ingresso?) e del loro ruolo nel contesto del Mediterraneo, per capire a quali traffici intendono attingere, per avere la sicurezza che lo sviluppo di queste strutture non si basi sulla cannibalizazione degli scali meridionali della Penisola.
Lotta tra compagnie. Gioia Tauro è al centro anche di una lotta tra le due principali compagnie marittime mondiali: Maersk e MSC. Con un paradosso: la prima detiene quasi un terzo del capitale di Medcenter, ma ormai non fa più approdare a Gioia Tauro nessuna nave, la seconda alimenta tutto il traffico calabrese e chiede quindi di entrare nel capitale della società terminalista, ma finora senza successo. Una situazione che favorisce alcuni sospetti, emersi in questi giorni. Per esempio, che la compagnia danese abbia interesse a mettere i bastoni tra le ruote per lo sviluppo di un porto usato da suo diretto concorrente o che la compagnia svizzera abbia sospeso l'invio delle navi in Calabria per trenta ore per spingere il suo ingresso nella compagine azionaria di Medcenter. Ma quanto potrà andare avanti questo paradosso? È difficile dirlo, anche perché Contship non può certo imporre ad un suo azionista/cliente di cedere la sua quota ad un concorrente. Ma il nodo della proprietà dovrà essere risolto in qualche modo, altrimenti condizionerà il futuro del porto.
Diversificare l'attività. Questa possibilità è stata prospettata dal presidente della Regione Calabria, Salvatore Scopelliti. In realtà, si parla da molto tempo della creazione di una piattaforma logistica intorno alle banchine calabresi, ma oltre la cancellata del Medcenter ci sono ancora sterpaglie. Per far crescere le attività gateway e un indotto logistico a Gioia Tauro ci vogliono forti investimenti, però quale impresa investirebbe oggi in una zona che notoriamente è controllata dalla n'drangheta? E comunque manca un piano industriale credibile: quali merci potrebbero sbarcare in Calabria, dove dovrebbero essere inoltrate e attraverso quali modalità? Il mercato calabrese non giustifica ingenti investimenti, mentre quelli campani e siciliani hanno già i loro scali di riferimento e propri progetti di sviluppo. Non si può arronzare in poche settimane una strategia di così ampio respiro. Bisognava farlo dieci anni fa, accompagnandola ad una vera pulizia del territorio dalla criminalità organizzata (che nel frattempo ha pervaso l'economia e la politica della regione). Insomma, ci vorrebbe un altro Ravano, ma temo che lo stampo di tali uomini sia perso nei meandri della storia italiana degli ultimi vent'anni.

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