lunedì 20 dicembre 2010

Il Sole confonde sciopero con serrata

Parlando d'industria metalmeccanica o chimica, sicuramente non sarebbe successo, ma sull'autotrasporto scivola anche il principale quotidiano economico nazionale: al termine un articolo del 20 dicembre 2010 (Il decennio immobile dei trasporti) che esamina la situazione del trasporto stradale, l'autrice confonde lo sciopero dei dipendenti per il rinnovo del contratto nazionale con il fermo degli autotrasportatori, ossia la classica serrata. Infatti, nel testo dell'articolo si legge: "L'accusa rivolta dalla committenza al sottosegretario ai Trasporti, Bartolomeo Giachino, dopo la riforma di luglio che ha introdotto i costi minimi, è stata quella di aver ceduto alla minaccia del fermo da parte degli autotrasportatori. L'accordo raggiunto dopo una serie di tavoli avrebbe garantito - disse allora il sottosegretario - una pax sociale di 24 mesi. Che però si è già infranta contro lo sciopero di tre giorni (13, 20 e 21 dicembre) proclamato dall'autotrasporto contro il nuovo contratto siglato la notte del 9 dicembre da Confetra, Fedit, Fedespedi, Assologistica e Cooperative, ma non da Anita, Conftrasporto, Fita, Cna e Confartigianato". Ma come i nostri lettori ben sanno, l'azione del 13, 20 e 21 aprile è stata proclamata dai sindacati contro le associazioni delle imprese e non da queste ultime contro il Governo.
Lo scivolone è replicato da un secondo pezzo del Sole 24 Ore, pubblicato anch'esso il 20 dicembre. Nell'intervista al sottosegretario Giachino, infatti, il giornalista gli chiede "Sempre della riforma sui costi minimi si disse che avrebbe garantito una pax sociale di 24 mesi. Un auspicio che sembra essersi infranto contro il fermo di tre giorni proclamato dai Tir contro il nuovo contratto...", provocando l'ovvia risposta: "Questo sciopero riguarda il nuovo Ccnl, quindi vede come interlocutore il ministero del Lavoro, non il mio dicastero".
Nei giorni scorsi, la confusione tra fermo dell'autotrasporto e sciopero degli autisti è stata fatta da diverse fonti d'informazione, ma francamente un doppio scivolone proprio del quotidiano di Confindustria - che di scioperi e serrate ha una centennale esperienza - sorprende. E dimostra, in fondo, che il trasporto merci resta sempre materia ritenuta marginale dal sistema industriale italiano. Che è probabilmente anche uno dei motivi del suo immobilismo.

sabato 18 dicembre 2010

Autotrasporto controcorrente

La vertenza sul rinnovo del contratto nazionale trasporto merci e logistica si chiude nel 2010 con un punto a favore dei sindacati, che sono riusciti a far sottoscrivere le loro richieste economiche a buona parte delle associazioni imprenditoriali. Resta fuori dall'intesa un gruppo di realtà dell'autotrasporto, guidato da Conftrasporto e Confartigianto Trasporti, che però hanno già fatto parziali aperture.
L'esito positivo per il sindacato non era affatto scontato, specialmente nel campo dell'autotrasporto, dove le tre sigle sindacali hanno una presenza disomogenea, che si può definire significativa solamente nelle poche grandi imprese strutturate. Ma i vertici sindacali hanno concentrato le risorse a loro disposizione su pochi obiettivi "sensibili", come le principali imprese aderenti alle associazioni refrattarie all'intesa e quelle operanti in settori strategici (come la distribuzione dei carburanti). Ed hanno scelto anche il momento più adatto, ossia i giorni precedenti le festività natalizie, che rappresentano un picco di traffico (e di fatturato) importante per l'intera filiera logistica.
Possiamo dire che i sindacati hanno imparato la lezione impartita dalle stesse associazioni dell'autotrasporto quando proclamano i fermi dell'autotrasporto contro la committenza o il Governo. Valga per tutti l'esempio del fermo attuato nel dicembre 2007 da Unatras. E forse qualcuno starà sorridendo nei piani alti di Confetra (che ha aderito subito al rinnovo contrattuale, contribuendo a spaccare il fronte imprenditoriale).
I sindacati hanno anche utilizzato la frammentazione del fronte avverso, che si è presentato al Tavolo del rinnovo con una moltitudine di sigle, alcune delle quali rappresentavano interessi diversi ed altre sono reduci da recenti contrasti in altri ambiti (come per esempio il recente Tavolo ministeriale sull'autotrasporto). Dapprima si è creata una frattura tra rappresentanti della logistica e quelli del trasporto stradale, poi anche questi ultimi si sono divisi, perfino nell'ambito di Unatras. Non solo: se è vero quanto riferiscono fonti sindacali, le divisioni si sarebbero replicate anche all'interno delle associazioni che inizialmente non hanno firmato il rinnovo, tramite adesioni di singoli imprenditori.
L'autotrasporto conferma così la sua unicità nel panorama imprenditoriale italiano: in una fase in cui sono le associazioni datoriali a spaccare quelle sindacali sui rinnovi contrattuali, qua avviene esattamente il contrario.

venerdì 3 dicembre 2010

Eutanasia di un gigante

Intercontainer sarà liquidata. Lo hanno deciso gli stessi azionisti - che poi sono le principali società ferroviarie pubbliche europee - dopo un tentativo di rilancio nel 1992 attraverso la fusione con Interfrigo. Ma la crisi ha dato il colpo di grazia ad un bilancio che già prima non era certamente brillante (nel 2008, ICF subì una perdita di 1,7 milioni di euro, diventati ben 12 milioni l'anno successivo). Ma ciò non basta per liquidare la più grande compagnia intermodale europea, che movimenta 145 convogli intermodali dall'Atlantico alla Russia e dalla Germania alla Turchia. È entrato in crisi anche il modello che nel 1967 portò alla nascita di quella che allora era considerata una realtà all'avanguardia: una società transnazionale di diritto privato (con sede legale a Basilea e operativa a Bruxelles), formata dalle compagnie ferroviarie pubbliche di diversi Paesi europei. Allora, e per molti anni in seguito, fu l'unica società ferroviaria non "di bandiera" del Vecchio Continente.
La crisi del modello Intercontainer iniziò con la liberalizzazione del mercato, che portò alla nascita di compagnie private che hanno cominciato ad erodere il monopolio continentale d'IFC nel trasporto di contenitori dai porti all'interno. Ma gli stessi soci d'Intercontainer hanno attuato strategie che hanno fatto concorrenza al colosso europeo. Basti pensare a Deutsche Bahn - maggiore azionista d'IFC - ma che nello stesso tempo ha formato la più grande società continentale di trasporto e logistica. D'altra parte, l'internazionalizzazione delle società che formano il corpo azionario d'Intercontainer-Intefrigo (e la loro concorrenza sui principali mercati europei) cozza contro il principio di mutua collaborazione che ha portato alla nascita della compagnia. Ora, quindi, tutti hanno le mani più libere.
Ma che cosa succederà ad Intercontainer-Interfrigo? Per ora è nelle mani di un avvocato belga, che svolge il ruolo di liquidatore. Ha dichiarato che i servizi proseguiranno fino al termine della procedura, specificando che ciò avviene per favorire la cessione dell'azienda o degli asset. La domanda che ci si pone è proprio questa: ci sarà uno spezzatino del gigante o il suo corpo sarà venduto completo? In quest'ultimo caso, l'acquirente deve avere le spalle grandi. Già si parla di un interesse da parte di Deutsche Bahn per l'intera società. Se ciò venisse confermato, la compagnia tedesca dovrà affrontare due scogli: i suoi concorrenti, che non lasceranno facilmente un boccone così importante alle ambizioni tedesche, e l'Antitrust di Berlino e di Bruxelles. La partita è aperta e potrebbe portare ad interessanti sviluppi per l'intero trasporto intermodale europeo.

martedì 30 novembre 2010

Scintille sulle rotaie

Botta e risposta tra Mauro Moretti e Giacomo Di Patrizi sul trasporto ferroviario delle merci. Il primo è l'Ad di Ferrovie dello Stato, il secondo è il presidente dell'associazione degli operatori privati Fercargo. Al convegno di Mercintreno, Moretti ha difeso il suo operato, sostenendo che quando è arrivato al vertice di FS, la divisione Cargo fatturava 900 milioni l'anno, con una perdita di 700 milioni. Patrizi, che per un anno e mezzo è stato direttore commerciale di Trenitalia Cargo, si è sentito tirato in causa e ha risposto per rime. E come se un avversario non fosse sufficiente, Moretti ha criticato gli stanziamenti concessi del Governo all'autotrasporto, mentre tagliava quelli alle ferrovie: "Se non si ricostituisce una sostanziale parità dei costi fra le diverse modalità di trasporto, il nostro Paese sarà isolato moralmente, prima geograficamente, a livello europeo". Ora giungeranno le repliche dell'autotrasporto, che rinfaccerà a Ferrovie i miliardi pubblici erogati sotto forma di ripianamento al bilancio. E così via, fino al prossimo convegno sul trasporto (attività che non pare minimamente scalfita dalla crisi). I tedeschi, intanto, fanno sapere tramite il loro efficiente ufficio statistico Destatis che nei primi nove mesi dell'anno il trasporto ferroviario di merci è aumentato del 16,7% rispetto allo scorso anno. Se procederanno così, tra qualche mese raggiungeranno i livelli precrisi e probabilmente torneranno a crescere. Magari chiederemo ai loro vertici di organizzare un bel convegno sul trasporto merci, con partecipazione obbligatoria di manager, imprenditori e politici italiani.

lunedì 19 luglio 2010

Ma il Cile è lontano

Lo scontro sull'applicazione dei costi minimi dell'autotrasporto sta scaldandosi con lo stesso ritmo del clima. L'accordo siglato al ministero dei Trasporti lo scorso 17 giugno ha scatenato una serie di mosse e contromosse da parte dei protagonisti della vicenda - ossia autotrasportatori, committenza e Governo - che non s'interromperà con le vacanze estive (per chi le fa). E come spasso accade in queste circostanze, il tono della polemica a volte produce note stonate in entrambi i campi. Ma quando ad eccedere è il principale quotidiano economico italiano, la stonatura appare ancora più fastidiosa.
La campagna del Sole 24 Ore contro quelle che Confindustria definisce le "tariffe minime" è attiva già da qualche settimana, con alcune interviste ed editoriali contrari e tale ipotesi. Cosa ovviamente legittima e comprensibile da parte dell'organo confindustriale. La stonatura, però, è avvenuta il 18 luglio in una nota (pubblicata anche nell'edizione online) intitolata "Quei camion con targa cilena", dove l'anonimo estensore cita le "tentazioni cilene" a proposito del fermo proclamato da Unatras. Rievocare il fermo dei camion cileni (che fiancheggiò il golpe del Generale Pinochet del 1973) quando l'autotrasporto italiano proclama un fermo non è cosa nuova. La novità è la fonte, perché finora lo spettro dell'11 settembre cileno è stato evocato da organi di stampa della sinistra e in contesti di tensione politica interna. Che a quasi quarant'anni da quegli eventi lo faccia il quotidiano della Confindustria è, appunto, una nota stonata.
Obama non è certamente in sintonia con Berlusconi, ma nessuna persona sana di mente può pensare che dietro Unatras ci siano i servizi segreti statunitensi e che al fermo dei camion possa seguire l'occupazione militare delle città. E per quanto si possa essere contrari ai costi minimi dell'autotrasporto (o tariffe minime che dir si voglia), la loro applicazione (se mai avverrà concretamente, cosa di cui è lecito dubitare dopo l'esperienza ventennale delle tariffe a forcella) non porterà certo l'economia italiana alla catastrofe, in un Paese dove i pedaggi autostradali aumentano ormai due volte l'anno.
D'altra parte, gli autotrasportatori italiani si sono fermati raramente e senza provocare colpi di stato. Forse le associazioni del settore avrebbero voluto farlo più spesso, ma non possono certo controllare oltre centomila imprese e quindi prima di arrivare al fermo vero e proprio ci pensano almeno dieci volte, come peraltro dimostra la cronaca di quest'ultimo anno. Quindi, affrontiamo i problemi della logistica italiana senza evocare generali cileni, che probabilmente in questo momento avranno ben altre temperature da affrontare nel loro inferno.

lunedì 8 febbraio 2010

Ma dove sono i trasportatori?

La domanda sorge spontanea dopo la presentazione dell'ennesimo ambizioso progetto sul trasporto italiano, ossia la piattaforma logistica del Nord-Est sponsorizzata da Unicredit ed appoggiata dalla Regione Friuli Venezia-Giulia e dallo stesso Governo. Come spesso avviene, la presentazione del progetto è stata accompagnata da dichiarazioni epocali sul rilancio del trasporto e da cifre strabilianti (in questo caso, tocchiamo i quattro milioni di teu), ma con poche analisi di mercato e, soprattutto, senza dettagli concreti. O meglio gli unici dettagli che sono finora apparsi sono quelli che riguardano le opere edili. Ma una cosa è chiara e sembra ormai stabilita: i protagonisti dell'operazione. Che sono i soliti: banche, imprese di costruzione e gestori di grandi infrastrutture di trasporto (leggi autostrade e aeroporti). Non c'è traccia di chi muove la macchina, ossia gli operatori del trasporto, neppure attraverso gli organi istituzionali come l'Autorità portuale o le associazioni imprenditoriali. Per l'ennesima volta, il trasporto italiano subisce le scelte dei grandi costruttori e dei politici, che giocano al risiko del trasporto secondo propri interessi economici e personali. In Italia, abbiamo avuto una sola eccezione, quella di Contship, impresa che non a caso è poi finita nelle mani di un gruppo estero. E proprio da tale gruppo (Eurogate) viene l'esempio di come la collaborazione tra pubblico e privato dovrebbe funzionare. Parlo dell'intesa sulla realizzazione di terminal interni per i porti della Germania settentrionale, siglata tra Eurogate e HHLA (che appartiene alla municipalità di Amburgo). In questo caso, le banche finanzieranno un programma già predisposto dagli operatori del trasporto ed i costruttori faranno il loro mestiere: ossia far girare le betoniere e non stabilire le strategie nazionali ed internazionali sulla mobilità delle merci.